Osservare un figlio che si autolimita, che fugge dalle opportunità e che non riconosce il proprio valore può generare nei genitori un senso di impotenza profondo. Quella che dovrebbe essere la stagione dell’esplorazione e della costruzione della propria identità adulta si trasforma in un periodo di stagnazione, dove la paura del fallimento prevale sulla curiosità verso il mondo. Dietro questo comportamento si nasconde spesso una fragilità emotiva che affonda le radici in dinamiche complesse, non sempre evidenti.
Quando l’autosabotaggio diventa strategia di sopravvivenza
La tendenza a sminuire i propri successi e a evitare le sfide non è pigrizia o mancanza di ambizione. Si tratta di un meccanismo di difesa psicologica che in molti casi si collega a ciò che in letteratura viene descritto come sindrome dell’impostore. Il termine è stato introdotto per descrivere persone che, nonostante evidenze oggettive di competenza, vivono con la convinzione profonda di essere inadeguate e di non meritare i risultati ottenuti, attribuendoli a circostanze fortunate piuttosto che alle proprie capacità.
Ma c’è un aspetto ancora più sottile: evitare le sfide significa anche evitare la possibilità di essere giudicati. Se non si tenta, non si può fallire. Questa logica distorta è coerente con i modelli cognitivo-comportamentali dell’evitamento, secondo cui la rinuncia preventiva riduce l’ansia nel breve termine ma mantiene il problema nel lungo periodo. Questa zona di comfort apparente è in realtà una prigione dorata, dove il giovane rinuncia alla crescita per preservare un’immagine di sé già fragile.
Le radici nascoste della scarsa autostima
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la bassa autostima nei giovani adulti non nasce sempre da critiche eccessive o da genitori assenti. Paradossalmente, anche un eccesso di protezione può generare insicurezza. Studi sullo stile genitoriale iperprotettivo mostrano che questa modalità educativa è associata a maggiore ansia, minore senso di autoefficacia e minore autonomia nei figli.
Quando un figlio non ha mai sperimentato il fallimento in un ambiente sufficientemente sicuro, può faticare a sviluppare quella capacità di resilienza, cioè la possibilità di adattarsi e rialzarsi dopo le avversità. La ricerca psicologica ha dimostrato come l’esperienza di superare ostacoli progressivi, anche piccoli, sia fondamentale per costruire fiducia nelle proprie risorse personali.
Il peso delle aspettative invisibili
Molti giovani adulti crescono percependo aspettative genitoriali non espresse apertamente ma comunicate attraverso sguardi, silenzi e confronti impliciti. La ricerca sui modelli di attaccamento e sulle aspettative interiorizzate mostra che i figli tendono a costruire un ideale di sé basato anche sui messaggi impliciti ricevuti dalle figure di riferimento, con possibile aumento di senso di inadeguatezza quando questi standard vengono percepiti come irraggiungibili.
Queste aspettative fantasma diventano un metro di misura impossibile da raggiungere, perché mai chiaramente definito. Il risultato è un senso di inadeguatezza persistente che mina qualsiasi tentativo di autorealizzazione.
Gli errori comunicativi che alimentano l’insicurezza
Come genitori, è naturale voler incoraggiare i propri figli. Tuttavia, alcune modalità comunicative possono sortire l’effetto opposto. Minimizzare le difficoltà con frasi come “ma è facilissimo, ce la fai sicuramente” rischia di invalidare le paure legittime e di far sentire il giovane ancora più inadeguato per aver trovato difficile qualcosa che dovrebbe essere semplice. Studi sulla validazione emotiva mostrano che riconoscere e nominare le emozioni facilita la regolazione emotiva, mentre la loro minimizzazione può aumentare il disagio.
Concentrarsi unicamente sui successi anziché sull’impegno crea una dipendenza dalla performance e dalla validazione esterna. La ricerca sui modelli mentali ha mostrato che elogiare l’impegno e le strategie favorisce una mentalità di crescita, mentre lodare solo l’intelligenza o il risultato alimenta una mentalità fissa e la paura del fallimento. Anche i confronti con fratelli o coetanei, anche quando fatti con intento motivazionale, rafforzano l’idea che il proprio valore sia relativo e condizionato.
Offrire soluzioni immediate intervenendo per risolvere ogni problema può ostacolare lo sviluppo dell’autonomia decisionale. La letteratura sull’autoefficacia mostra che sperimentare di poter affrontare in prima persona le difficoltà è fondamentale per costruire senso di competenza.
Strategie concrete per invertire la rotta
Legittimare la vulnerabilità
Uno degli interventi più utili è creare uno spazio dove la fragilità possa essere espressa senza giudizio. Questo significa ascoltare senza correggere immediatamente, senza relativizzare con frasi come “altri stanno peggio” e senza precipitarsi a offrire soluzioni. Studi sulla validazione emotiva mostrano che sentirsi compresi riduce l’attivazione dei sistemi di allarme e facilita la regolazione emotiva.

La ricerca sulla neurobiologia dell’attaccamento ha evidenziato come le relazioni sintonizzate contribuiscano a integrare i circuiti cerebrali coinvolti nell’emozione e nella regolazione. Studi di neuroimaging hanno mostrato che la presenza di una figura di supporto può effettivamente modulare l’attività dell’amigdala, l’area cerebrale responsabile delle risposte di paura, in situazioni stressanti.
Riformulare il concetto di fallimento
I genitori possono diventare modelli nel mostrare come gestiscono i propri errori. Condividere episodi personali di insuccesso e cosa si è appreso da essi contribuisce a normalizzare il fallimento come parte del processo di crescita. La letteratura sulla socializzazione degli errori suggerisce che vedere adulti significativi affrontare gli errori in modo costruttivo riduce la paura del fallimento e favorisce la perseveranza.
Questa trasparenza generazionale contribuisce a ridurre il mito della perfezione e offre una narrazione alternativa più accessibile e umana.
Introdurre il concetto di sfida graduata
Anziché spingere verso grandi cambiamenti che possono risultare paralizzanti, è più efficace incoraggiare piccoli passi progressivi. Nella terapia cognitivo-comportamentale è ampiamente utilizzata la tecnica dell’esposizione graduale per aiutare le persone a superare le proprie paure: si affrontano in modo sistematico situazioni temute partendo da quelle meno ansiogene e aumentando progressivamente il livello di difficoltà.
Applicata al contesto familiare, questa logica significa celebrare anche i micro-progressi: un colloquio sostenuto, un corso iniziato, una conversazione difficile affrontata. La ricerca sulla definizione degli obiettivi indica che traguardi specifici e realistici, scomposti in passi intermedi, aumentano la motivazione e la percezione di autoefficacia.
Il ruolo terapeutico dello spazio autonomo
Paradossalmente, uno degli atti d’amore più profondi che un genitore può compiere è fare un passo indietro. Questo non significa disinteresse, ma piuttosto la creazione di uno spazio dove il giovane adulto possa sperimentare, sbagliare e rialzarsi senza l’occhio costante del giudice benevolo. La teoria dell’autodeterminazione sottolinea che il senso di autonomia è un bisogno psicologico di base e che un contesto che sostiene l’autonomia è associato a maggior benessere e motivazione interna.
La presenza genitoriale può quindi trasformarsi da attiva a disponibile: esserci quando richiesti, astenersi dall’intervenire quando non necessario.
Quando cercare supporto professionale
Se l’evitamento diventa pervasivo, interferendo con le attività quotidiane, o se emergono segnali di ritiro sociale marcato o sintomi depressivi come umore depresso persistente, perdita di interesse, alterazioni del sonno o dell’appetito, le linee guida internazionali raccomandano di considerare un percorso con uno psicoterapeuta o uno psicologo clinico, possibilmente con esperienza nel lavoro con adolescenti e giovani adulti.
Non si tratta di patologizzare una fase di incertezza, ma di offrire strumenti professionali per affrontare blocchi emotivi radicati e possibili disturbi d’ansia o dell’umore che possono accompagnare queste difficoltà di passaggio.
Il viaggio verso l’autostima è lungo e non lineare. Come genitori, il compito non è eliminare ogni ostacolo dal percorso dei figli, ma fornire loro quella bussola interiore che in psicologia si collega al senso di autoefficacia, di competenza e di appartenenza. A volte, la testimonianza più preziosa che possiamo offrire è la nostra stessa imperfezione, accompagnata dalla certezza che il loro valore non dipende solo dai successi ottenuti ma dalla loro piena umanità.
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